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«Cultura e privati, nessun tabù»

«Cultura e privati, nessun tabù»

23 Febbraio 2014

Da quel momento prenderà possesso del nuovo ufficio a via del Collegio Romano. Ma più di un'idea su come impostare il nuovo lavoro già ce l'ha. Sia perché in passato è stato assessore alla cultura del Comune di Ferrara, sia perché nel precedente Esecutivo ha seguito i passaggi parlamentari del trasferimento del dipartimento del turismo dalla Presidenza del Consiglio al ministero dei Beni culturali e le varie fasi della legge Valore cultura.

Convinto della scelta di far transitare il turismo nei Beni culturali?

Sì. I due settori sono strettamente legati. È una scelta che ha un senso profondo. Intanto è permanente, perché effettuata con una legge; non è una delega. E poi prende le mosse dalla considerazione che in Italia il collegamento tra cultura e turismo è dovuto, perché la nostra ricchezza è il patrimonio culturale, le città d'arte, i borghi. Nel mondo globale ogni economia nazionale non potrà far tutto, ma dovrà investire in ciò che ha di più competitivo. Noi abbiamo la qualità, la bellezza, il patrimonio culturale. C'è una grande operazione da fare: quella di tutela e valorizzazione. Questa mattina, all'uscita dal Quirinale, scherzando ho detto che mi avevano chiamato a guidare il più importante ministero economico di questo Paese.

E ci crede?

Assolutamente sì. Penso che il ministero della cultura sia in Italia come quello del petrolio in un Paese arabo. Le nostre potenzialità non sono soltanto i beni culturali come volano del turismo, settore dove c'è un enorme investimento da fare perché abbiamo perso posizioni nella graduatoria dei Paesi a maggiore vocazione turistica. La nostra è anche una condizione che ci permette di attrarre investimenti: se un imprenditore deve investire nella parte alta della filiera produttiva, dove conta meno il costo del lavoro e più la capacità d'innovazione, e deve decidere dove costruire la propria azienda, se in un brutto posto o in uno bello come l'Italia, dove c'è offerta culturale, un sistema di welfare, la bellezza e la storia, sicuramente sceglie di investire qui da noi.

Però bisogna anche aggiungere un'imposizione fiscale molto alta, una giustizia inefficiente, una burocrazia lentissima.

Tutto vero. Ma questi ultimi sono problemi da risolvere, quelle altre condizioni e risorse da valorizzare.

Sulla cultura è stato fatto un decreto legge ad hoc. Uno analogo era atteso sul turismo. Continuerà su quella strada?

Sul turismo si deve fare un'operazione equivalente a quella fatta sulla cultura. Lo strumento legislativo lo vedremo. Intanto bisogna rafforzare la struttura, perché con tutti gli spostamenti è stata indebolita.

Quali sono le misure che metterà al primo posto sul versante culturale?

In questo momento, a poche ore dal giuramento, non voglio fare proclami né programmi prematuri. Penso che sul tavolo ci sia la riorganizzazione del ministero e non solo a livello centrale. Si partirà da lì. Ci sarà poi da aiutare l'integrazione delle strutture turistiche con quelle culturali e approfondire il rapporto con il sistema dei Comuni, che lavorano senza risorse, ma con grande capacità, per la valorizzazione delle loro risorse culturali.

La legge Valore cultura è ancora in gran parte da attuare. Alcuni decreti sono fermi all'Economia. Come pensa di agire?

Conosco il sistema: so chi accelera e chi invece rallenta. Metterò tutte le mie conoscenze, a partire dalle ultime di ministro dei rapporti con il Parlamento, per fare in modo che i Beni culturali non siano trattati come un ministero di serie B. Credo molto nell'idea che un pezzo rilevantissimo della crescita sia legato alla valorizzazione dell'Italia stessa.

Ha avuto, dunque, l'impressione che negli ultimi anni i Beni culturali siano stati la Cenerentola dei ministeri?

Purtroppo è stata una colpevole malattia non attribuibile a una parte politica piuttosto che a un'altra. Ora quello della cultura deve diventare un tema centrale nelle scelte politiche del Governo.

Con Renzi ne ha parlato?

Sa perfettamente che su questo tema bisogna scuotere il Paese: la cultura è la nostra risorsa, il nostro petrolio. E non c'è alcun contrasto tra tutela e valorizzazione.

Come vede il ruolo dei privati?

Sono aperto a questo tema. Se ci si schiera su fronti opposti, tra chi dice che non si tocca nulla e chi invece vuole utilizzare un bene pubblico semplicemente per logiche di profitto, non si va da nessuna parte. Col buon senso si può trovare una soluzione che dimostri che non c'è alcun contrasto tra assoluta tutela del patrimonio pubblico e una maggiore dinamicità, una più incisiva capacità di utilizzarlo e valorizzarlo. Questo non deve essere un tabù. L'equilibrio è assolutamente possibile.

Agirà sulle agevolazioni fiscali per incrementare gli aiuti alla cultura?

Bisogna utilizzare tutto ciò che serve per portare risorse alla cultura, dagli incentivi per le sponsorizzazioni a quelli sulle donazioni. Ci sono tante cose che si possono fare.

A chi dice che con la cultura non si mangia, che risponde?

È un'assoluta stupidaggine. Non è che con la cultura si mangi, ma bisogna far capire che in questo Paese il nostro patrimonio è il principale motore della crescita. E questo senza dover privatizzare i beni pubblici. Semplicemente attraverso un intelligente equilibrio tra tutela e valorizzazione.

È consapevole di entrare in un ministero sofferente?

Questo Governo non si dà un orizzonte di qualche mese, ma di quattro anni. C'è il tempo per fare le cose velocemente ma bene. Prima approfondirò le materie e poi deciderò cosa cambiare.

È finita la fase dei tagli?

Con il Governo Letta c'è già stata un'inversione di tendenza. Mi batterò non solo perché non ci siano tagli ma perché la cultura sia uno dei settori su cui fare gli investimenti prioritari, strategici.

Ci sono musei che devono fare i salti mortali per pagare le utenze.

Purtroppo non è un problema solo dei musei. Il cammino indicato nella legge di stabilità sulla spending review è difficile. Bisogna, però, lasciare totalmente alle spalle la filosofia dei tagli lineari, che colpiscono indistintamente tutti. La politica serve a dire: lì taglio, lì non tocco nulla, lì investo. La cultura appartiene alla terza opzione. - Fonte: Il Sole 24 Ore (di Antonello Cherchi)