Astoi Confindustria viaggi
La qualità alla guida del turismo
Rassegna stampa Astoi
PANORAMA - TURISTI a circuito chiuso

PANORAMA - TURISTI a circuito chiuso

25 Settembre 2019

La signora cinese con i grandi occhiali scuri e cappello da pescatore allunga il bastoncino per i selfie e scatta la sua brava foto con il Colosseo. Italiani passano senza badarle, abituati come sono ai viaggiatori orientali. Ben vengano, si pensa: affascinati dal Belpaese, dalla sua storia, dall'arte, dal cibo, gonfieranno un po' le nostre casse esangui. Ma la realtà è più complessa di così. Mentre si sbandiera il risultato di tre milioni di turisti cinesi sul nostro territorio, c'è una parte di questi visitatori, una parte molto consistente, che percorre lo Stivale in lungo e in largo lasciandoci pochi spiccioli e molto smog. Vedono in un pugno di giorni le nostre città più famose usando guide cinesi e mezzi condotti da cinesi, fermandosi a mangiare in ristoranti cinesi e spesso dormendo in hotel di proprietà cinese. Un turismo di comunità, «a circuito chiuso», che sfrutta la filiera dei connazionali ben radicati qui, magari con l'appoggio di italiani che hanno capito l'andazzo. E porta al nostro Paese un infinitesimo di quanto potrebbe fruttare. Così succede che qualcuno cominci a innervosirsi. Gazzettino di Venezia, 19 agosto: «Turismo cinese a circuito chiuso in città: scoppia la rissa con gli italiani». Hanno fatto a botte in Riva degli Schiavoni, due passi da Piazza San Marco. Commento del quotidiano: «Una vicenda emblematica del clima che si respira nel settore dei trasporti di turisti cinesi dal Tronchetto a Venezia. [...] Le comitive fin dal loro arrivo non spendono quasi nulla se non su attività in qualche modo riconducibili a soggetti cinesi o loro associati. [...] Del denaro che i visitatori si accingono a spendere in città nemmeno un cent è disperso con acquisti autonomi». Specificando poi: «È noto che imprenditori dell'ex Celeste Impero abbiano da tempo acquisito attività di ristorazione e alberghi in terraferma con lo scopo di ospitare i loro clienti. [...] Al Tronchetto si sa che gli operatori cinesi hanno scelto una loro compagnia di navigazione per i granturismo (i gruppi nemmeno vedono i vaporetti)». «Hanno una filiera del turismo che controllano dall'inizio alla fine, e dove non lo possono fare in proprio si appoggiano su italiani fidati» denuncia Luigi Corò, presidente di Cmp-A difesa del cittadino, comitato civico a tutela dei diritti e della legalità nella città lagunare. «Quando le guide abusive cinesi in città vengono fermate, rispondono che sono parenti o amici. Senza contare che si stanno comprando Venezia. Prima i ristoranti, poi i negozi, adesso i bed & breakfast abusivi. Ma dove prendono tutti questi soldi?». I numeri non mentono: in Laguna nel 2000 erano cinesi soltanto 15 pubblici esercizi, nel 2018 sono diventati 138. Mentre i negozi di pelletteria oggi sono ben 128 su 864 totali. Un allarme di cui Venezia è un emblema ma che può essere esteso alle città più visitate della Penisola. «Il tema del "circuito chiuso"è reale. Lo dico da 10 anni: arriveremo a un punto in cui il sistema turistico italiano sarà gestito dai cinesi. E la colpa non sarà loro, ma della nostra incapacità di gestione. Arriveremo alla beffa di essere un teatro a cielo aperto, nelle mani di altri» commenta il professor Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, profondo conoscitore del Paese asiatico che frequenta da 17 anni. «Dobbiamo strutturarci meglio, con un'offerta ad hoc che sia profondamente diversa da quella dedicata a tedeschi, svizzeri o americani. Capire che i cinesi faticano a parlare qualsiasi altra lingua che non sia la loro e che hanno abitudini alimentari molto specifiche. Per dire, la nostra colazione non va bene: di primo mattino mangiano brodo, spaghetti... È problematico, non hanno banalmente gli enzimi per sostenere una settimana di cibo italiano, non parliamo dei formaggi...». Di certo oggi la loro affluenza è impressionante. Secondo i dati forniti in maggio dall'Agenzia nazionale del turismo, per il 2019 le prenotazioni stanno registrando un aumento del 20 per cento rispetto all'anno scorso.

Si sa anche che sono mediamente giovani (più della metà ha meno di 35 anni) e che viaggiano in famiglia usando tour operator che li facciano sentire sereni grazie ai loro pacchetti tutto incluso (solo un terzo opta per soggiorni individuali di qualità, fortunatamente in aumento) con una permanenza media nelle città di due giorni. Il loro interesse per musei e monumenti si riduce al sostarvi davanti per scattare qualche selfie e il budget è consacrato allo shopping, mentre tirano la cintola per vitto e alloggio. Ecco perché si vedono tanti pullman sostare davanti a ristoranti di cucina cinese. A Milano, per dire, basta passare dal Chekiang (via Pergolesi 19) intorno alle ore 11-11,30 per il pranzo e alle 18-18,30 per la cena (mangiano presto per fuso e tradizione): da anni le varie compagnie di trasporto gli scaricano davanti comitive felici di ritrovare un piatto di involtini primavera a migliaia di chilometri da casa. «Per noi conta il livello di servizi e di cultura, per loro conta vedere l'Europa in sette giorni» commenta Nardo Filippetti, presidente di Astoi, associazione che rappresenta oltre il 90 per cento dei tour operator italiani. «Ci sono i cinesi che volano in jet privato e spendono mille euro a notte, ma le grandi masse viaggiano di notte, mangiano quello che c'è da mangiare, dormono in pullman oppure a decine di chilometri dalle città da visitare: con le distanze a cui sono abituati là, è comunque vicino. Trovano un due stelle a 10-12 euro e persona e va bene così. Un italiano ricettivista questo mercato non lo vuole nemmeno. Con una commissione del 3 per cento guadagna 3 centesimi, neanche il prezzo della telefonata. Ciò detto, il mercato è libero, basta che rispettino le regole». Ma la questione è più profonda, e facendo un po' di luce se ne intravedono i risvolti inquietanti. «Con la crisi economica i cinesi hanno perso la sudditanza psicologica di 15 anni fa nei confronti dell'Occidente, maturando l'orgoglio del loro modello di potenza mondiale» spiega il professor Noci. «Può subentrare l'atteggiamento di chi dice "siete voi a dovervi adattare a noi, pure se siamo a casa vostra"». Anche perché in ballo ci sono parecchi soldi. «Un terzo della domanda dei beni di lusso nel mondo è cinese,e il 70 per cento dei loro acquistiè fatto all'estero» continua Noci. «Le nuovi classi medie vengono in Europa perché fa status mostrarsi nelle città più note, sui  social. La maggior parte del tempo lo passanoa fare shopping compulsivo, che è nei tratti culturali del cinese. Sì, è un'esperienza di viaggio molto diversa dalla nostra, ma parliamo di una popolazione turistica di oltre 200 milioni di persone, non possiamo non tenerne conto». E questo Pechino lo sa bene. La stima al 2030 è addirittura di 400 milioni di turisti potenziali, una manna per molte economie e, di conseguenza, una leva che la Cina può esercitare su di esse. Qualcuno parla di «turismo come arma politica». Il professor Sow Keat Tok, esperto di politica estera cinese all'Università di Melbourne, ha scritto spesso sui media internazionali che questo potere è stato usato dalla Cina per creare «hostage situations» con vari Paesi. L'ha fatto con Taiwan e con la Corea del Sud. Nel 2016 la Thailandia ha provato a interrompere questo «one dollar tourism» che a dir loro creava un danno di due miliardi di dollari l'anno: il governo ha chiuso tre compagnie di trasporti abusivi e vari negozi dove i turisti erano obbligati a sostare per fare acquisti da cinesi stessi; ci sono stati arresti per riciclaggio di denaro e organizzazione di tour illegali. Si è anche pensato di mettere una tassa sugli ingressi dei cittadini del Dragone, ma il drammatico calo di arrivi li ha costretti a cambiare idea. La Cina dà, la Cina toglie.

 In questo momento, con noi Pechino è generosa. Dopo la firma del memorandum per la Nuova via della seta sta promuovendo pesantemente l'Italia, generando euforia nei nostri amministratori e operatori. Userà questa leva meno amichevolmente in futuro? Nell'attesa di una risposta, anche qui come in Thailandiai trasporti abusivi dei cinesi proliferano. È questo il caso finora più noto di «turismo a circuito chiuso», scoppiato lo scorso anno grazie ai servizi di Striscia la notizia e Le Iene sul mondo degli autisti cinesi che imperversano nelle principali città italiane senza permessi né autorizzazioni (alla trasmissione sono seguite vigorose proteste da parte degli Ncc con risse sfiorate e spray al peperoncino a Malpensa, ma anche minacce di morte a chi ha scoperchiato il caso). Come fanno i turisti cinesi che non viaggiano in gruppo a contattare un connazionale che lo porti in giro (al nero)? Grazie a un'app a noi incomprensibile: Huang Bao Che (gli italiani la chiamano Risciò). Vi si prenotano autovetture e minivan in barba alle regole che valgono per gli italiani: niente stemma Ncc identificativo, niente licenza, niente abilitazione al ruolo, niente tasse pagate. Un far west sotto gli occhi di tutti. A Milano anche e soprattutto durante la settimana della moda appena conclusa. Con numeri in peggioramento: in città erano 412 gli autisti disponibili nell'aprile 2018 sulla famigerata app, oggi sono 488. «Ma facendo i dovuti calcoli, sul totale dei driver abusivi si arriva a 800» assicura Daniela Geronazzo, amministratore della società di Ncc Milano luxury service. «È una piaga. La Polizia municipale fa i verbali, ma ci sono sono troppi casi ed è gente che non ha niente da perdere: nullatenenti che magari guidano mezzi presi a noleggio in modo che la carta di circolazione non possa essere ritirata oppure veicoli intestati a terze persone e ristoranti cinesi. Vada a Malpensa alle 6 del mattino, porta 8, quando arrivano i voli dall'Asia, vedrà, vedrà». «Come base hanno la zona di Chinatown e nessuno li ha mai visti fare benzina, mai. Ci saranno mica cisterne clandestine nascoste in qualche garage? È una domanda lecita quella che mi faccio» riflette Alfonso Riva, presidente del Fai - Trasporto persone Lombardia. «L'abusivismo è una fetta enorme di mercato, ma toccare i cinesi sembra essere diventato un problema, come se rispondessero a un'altra legge.

Senza contare che lo Stato non vede un soldo perché pagano in contanti o con sistemi digitali che bypassano tasse e controlli». Già, la tecnologia. L'83 per cento dei consumatori cinesi effettua pagamenti o trasferimenti di denaro via telefono (rilevazioni Ernst&Young), mentre il 65 per cento dei turisti del Dragone lo fa anche all'estero (Nielsen). Da noi ci pagano anche gli autisti abusivi, come ben raccontato dalla «Iena» Matteo Viviani nel servizio citato sopra. Il nome sentito in tivù è WeChat, una super-app cinese (del gigante Tencent) usata da quasi un miliardo di persone nel mondo: fa da social media tipo Whatsapp, ma anche da browser di ricerca, da piattaforma di servizi e di e-commerce, più molto altro. Soprattutto, ha la funzionalità di pagamento grazie al quale il turista a Roma paga con il suo conto cinese direttamente l'autista sul suo conto cinese. E a noi, come dicevamo, rimane solo lo smog. Un altro big player dei pagamenti digitali che si sta diffondendo insieme al diffondersi dei turisti è Alipay, gruppo Alibaba: 55 Paesi che lo accettano come sistema, 29 solo in Europa, Italia compresa. Una diffusione fulminea quanto quella dei viaggiatori cinesi abituati a pagare comodamente con il telefonino, che li geolocalizza per proporre lì dove si trovano nuove mirabolanti offerte. Più turisti, più Alipay. Sembrava solo una signora col bastoncino per i selfie, invece stanno trasformando il modo in cui paghiamo sotto l'occhio della Cina, numero uno al mondo per intelligenza artificiale. Potenza da miliardi di dati analizzati, gigante da 400 milioni di turisti. È boom di visitatori del Dragone, ma in molti viaggiano usando la rete dei connazionali.

Fonte =  PANORAMA 25/09/19