Astoi Confindustria viaggi
La qualità alla guida del turismo
Rassegna stampa Astoi
Il Giornale Ed.Nazionale Dossier Emilia Romagna -Strategie condivise per rilanciare il turismo

Il Giornale Ed.Nazionale Dossier Emilia Romagna -Strategie condivise per rilanciare il turismo

21 Aprile 2011

Cosa significa fare turismo in Italia? Al di là dei regionalismi, Roberto Corbella, presidente di Astoi, dà un risposta ambiziosa. «Trovare una strategia nazionale comune e dirottare il viaggiatore internazionale verso pacchetti complementari»

Nata nell'autunno del 2000 dalla fusione di due associazioni di categoria del tour operating italiano, Astoi porta impressa la sua ragion d'essere: unire le forze e lavorare in squadra. In pratica quello che, a detta del suo presidente, Roberto Corbella, manca al sistema Italia. La macchina promozionale, specie se si rivolge ai mercati internazionali, dovrebbe muoversi all'unisono e non, come spesso avviene, per frange autonome: comuni, provincie, regioni e via dicendo. Ma la riscoperta della macro categoria "Italia", non è che un'indispensabile premessa. Entrando nel vivo dell'intermediazione turistica, Corbella mette l'accento su ben altri obiettivi: tra tutti, la capacità di giocare sull'offerta complementare e intercettare i fattori motivazionali.

Secondo l'Osservatorio nazionale del turismo, per essere competitivi bisogna implementare l'offerta complementare. Come sta cambiano il profilo del turista contemporaneo? «Partiamo da una constatazione: a determinare le vacanze sono sempre più i fattori motivazionali. Se fino a qualche tempo fa si sceglieva una certa località e, solo dopo essere giunti a destinazione, si andavano a scoprire le sue sfaccettature "nascoste", oggi avviene il contrario. Le persone si muovono con la precisa idea di fare qualcosa, che può essere partecipare a un concerto, a un festival e via dicendo. Se l'Italia vuole essere vincente, premesso che per forza di cose siamo più cari rispetto ad altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la mossa da compiere è giocare sulle motivazioni. Abbiamo la fortuna di recepire, senza quasi alcuno sforzo, molti target di turismi consolidati. Pensiamo, per esempio, alla beatificazione di Giovanni Paolo II. In questo caso i tour operator si limitano a gestire l'evento. Ci sono poi tutta una serie di opportunità, per esempio il Festival di Puccini, ancora poco note, da portare all'attenzione del pubblico straniero». Quali politiche suggerisce Astoi in modo che queste strade poco battute vengano aperte? «Innanzitutto l'attenzione va posta alla fruibilità e, in generale, alla capacità di proporre "pacchetti" completi. Certo, lo sforzo deve partire dal sistema Italia, dal ripensamento della mobilità interna e da una nuova rete di collegamenti con gli aeroporti. In questo senso abbiamo un bel da fare. Ma oltre alle infrastrutture, va realizzata una politica di comunicazione complessa: solo in questo modo gli straneri vengono indirizzati a guadare con occhi nuovi le tante opportunità dell'offerta complementare italiana».

Facendo attenzione a non omologare l'offerta, come spingete i tour operator associati a trovare una sorta di comune denominatore? «Sia nel prodotto di fascia bassa che altissima, spingiamo affinché venga garantito un certo tipo di standard. Il comune denominatore è la valorizzazione del fruitore. In tal senso un gesto concreto risale all'anno scorso, quando abbiamo firmato un protocollo d'intesa con le principali associazioni di consumatori. Ne è risultato un decalogo di raccomandazioni per la buona riuscita della vacanza che contempla una vasta casistica: si parte da una situazione ottimale e si finisce con la peggiore delle ipotesi, quindi con il turista insoddisfatto. Ed è a questo punto che si inserisce il rapporto di conciliazione paritetico tra consumatore e tour operator. Detto questo, ognuno ha le sue fette di territorio, le sue strategie commerciali, il suo target di riferimento, quindi non c'è rischio di omologazione». Crede che le politiche autonome di promozione turistica portate avanti dalie singole regioni, se esasperate, possano minare il concetto stesso di prodotto-Italia? «Sarò drastico: le politiche autonome sono deleterie. Il modo disorganico in cui il nostro paese si